Ser Sigfrido Fiordimaggio parte in groppa al suo destriero avendo in animo gesta gloriose. E certo un agguato in una locanda o una sfida a singolar tenzone sono appena un assaggio del cimento che lo attende al cospetto del terribile Drago. Ma è destino che i sogni dell’eroe dal cuore puro si scontrino con una realtà piena di sorprese. Come nella Digione dai due volti – ingiustizia e ribellione – dove Sigfrido, conteso fra ricconi spudorati e rispettabili briganti, si farà paladino di fermenti rivoluzionari alquanto in anticipo sui tempi. Per non dire dell’esito imprevisto della tanto agognata battaglia finale.

Dalla Provenza alla lontana Anglaterra, tra donzelle un po’ smemorate e mostri tutt’altro che malvagi, si susseguono così le mirabolanti avventure di un cavaliere che, come si conviene, è senza macchia e senza paura.

O Musa, dona a me, che son l’aedo, la forza di cantar di grandi imprese: nulla di meno ci si aspetta dall’incipit di un poema. E Cavallegoria, opera meravigliosamente inattuale e insieme modernissima le cui formule antiche si aprono alle incursioni della lingua di oggi, con le sue 400 quartine a prova di bomba animate dalle illustrazioni originali di Panebarco, mantiene le promesse.